Cosa prediligere nello studio: arabo “standard” o arabo “local”? Bisogna negoziare

Qualche giorno fa, su un post della mia pagina personale di Facebook, avevo scritto della mia difficoltà a prendere sonno. Condizione di cui ho sempre sofferto fin dall'infanzia, quindi niente di tragico. Le piattaforme streaming in parte mi aiutano: mi piacciono i thriller, crimine, morbosità e sangue in percentuali varie. Ma non riuscendo a trovare nulla di appagante, mi sono trovata dalla parte opposta e ho guardato “Baby Boss”, film di animazione della DreamWorks Animation. E devo dire che mi ha divertito.

Dopo il film, il treno dei pensieri mi ha portato su YouTube, su un video sperimentale per un ipotetico doppiaggio di “Baby Boss” in dialetto egiziano fatto da alcuni studenti dell’università Ain Shams del Cairo. Ho già scritto in un altro post che meglio sarebbe parlare di “variante locale”, scrivo “dialetto” per comodità.

Senza girarci troppo attorno, la realtà è questa: l'arabo classico - e la sua variante semplificata “standard” - è limitato a situazioni formali, i media, la letteratura, i sermoni, alcuni contesti educativi e appunto gran parte dell’intrattenimento per bambini.

Perché?

Perché la maggior parte degli arabofoni è convinta che l'arabo classico sia la lingua corretta, codificata dopo l'avvento dell'Islam, rimasta più o meno invariata fino ad oggi. Le varianti locali (i dialetti) sarebbero corruzioni dell'arabo classico, pertanto non godono dello “status” di lingua vera e propria.

Dunque:

1.      Arabo: lingua sacra, eterna e soprattutto, una.

2.      Dialetto: lingua corrotta, bassa e soprattutto, molteplice, legata alla materia che con la materia deperirà.

Ed è deperita? No.

Anzi, se l’arabo uno e indivisibile resta relegato nelle sfere “nobili”, lì rimarrà. Tutti gli altri aspetti della vita sono occupati dal dialetto. Con buona pace dei traduttori automatici, la diglossia avrà vita molto molto lunga. A chi crede di potersi affidare a Google Translator, faccio i miei migliori auguri.

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Nel mio primissimo viaggio nella provincia di Khenifra in Marocco, nel 1997, ero ospite presso una famiglia con bambini piccoli che guardavano giustamente i cartoni animati. Quel giorno mi pare trasmettessero “L’Uomo Tigre”. All'epoca, studentessa di arabo I, mi ero già resa conto del divario tra lingua parlata in casa (il tamazigh, berbero) e lingua della tv (arabo standard). I cartoni giapponesi erano doppiati in arabo standard. Sembrava cosa del tutto normale. Ma la domanda sorgeva spontanea: quanto capiscono?

I bambini vanno educati, i cartoni animati devono conservare un minimo di funzione educativa, dunque l’Uomo Tigre deve parlare in arabo standard, quello della scuola, non quello che si parla a casa con la mamma. Non è un concetto così alieno per noi italiani.

E torniamo alla domanda spontanea: quanto capiscono? Non tutto, talvolta “suona strano”, ma è questione di abitudine e di contesto: i cartoni giapponesi parlano così.

Dal 2012 la Disney, che faceva doppiare i cartoni in arabo egiziano, ha iniziato il ridoppiaggio in arabo standard, il primo pare sia stato “Brave”. Nel 2013, Al Jazeera ha firmato un accordo con la Disney per la trasmissione dei cartoni sul suo canale dedicato, doppiati in arabo standard.

E il pubblico? Diviso in due.

1.      Sì all'inclusione: è giusto doppiare in arabo standard in quanto lingua “neutra” e inclusiva. Perché un bimbo iracheno dovrebbe sentir parlare in dialetto egiziano?

2.      No all'alienazione: è terribilmente artificioso un cartone in arabo standard, lingua che non si addice all'intrattenimento dei bambini, troppo astratta e irrealistica.

Sono state lanciate addirittura campagne contro il ridoppiaggio in standard, molti genitori hanno aderito e non erano solo egiziani.

Chi vincerà allora? Arabo “standard” o arabo “local”? Bisogna negoziare. “Gli Incredibili 2” sono in arabo standard e in dialetto egiziano insieme.

E il pubblico? Diviso in due.

1.      “I personaggi sono schizofrenici”.

2.      “No, è un buon compromesso”.

Anche la didattica universitaria sta andando verso il compromesso.

Quando ho iniziato a studiare arabo nel 1996, il dialetto in classe era impensabile. Noi studenti partivamo per i paesi arabi con la convinzione di praticare l’arabo dell’università. Ci siamo trovati davanti ad una lingua nuova, un bel problema che alcuni professori risolvevano con la classica frase “per imparare la lingua, bisogna andare nel paese dove si parla”. Grazie.

Anche in Italia, sta prendendo sempre più piede l’idea di una didattica binaria, se non trinaria: arabo classico, standard e almeno una variante locale. Le scuole di arabo per stranieri sono ormai tutte organizzate così: corsi di arabo “standard” e/o dialetto del posto.

È un compromesso che come tale è imperfetto. Ma è la cosa più onesta da fare. Non solo nei confronti di chi si reca nei paesi arabi per lavoro, ma anche per gli studenti. Perché perdere più tempo ed energie del necessario? Perché aggiungere frustrazione?

NB: i cartoni Disney, Pixar, DreamWorks ecc. sono intrattenimento per la famiglia, non solo per i bimbi. Quindi suppongo che la polemica “Standard VS Local” sia stata funzionale soprattutto agli adulti. Mi pare che i cartoni giapponesi del dopo pranzo, guardati esclusivamente dai bambini, siano ancora in arabo standard. Ma non ne sono così sicura. Le cose cambiano in fretta.