Food: tradurre gli ingredienti e le tabelle nutrizionali

Tradurre gli ingredienti di una gamma di prodotti alimentari non è una cosa così scontata. Può sembrare noioso e ripetitivo ma le criticità sono dietro l’angolo.

Ecco il perché:

Ogni macroarea fa riferimento ad una normativa che fissa la denominazione legale degli ingredienti. Nei Paesi del Golfo il riferimento è il Gulf Standardization Organization (GSO). Ciononostante, la denominazione degli ingredienti è spesso materia di discussione col food manager locale, vuoi per motivi di opportunità commerciale, vuoi per motivi di distribuzione dei prodotti. 

Mi è capitato per esempio, di discutere a distanza con un food manager operante in Arabia Saudita sull’ingrediente “solidi di cacao”, che in molti casi ho visto tradotto in arabo come “massa di cacao” e non è certo la stessa cosa. In alcuni casi è stato tradotto come “pesto” o “polvere di cacao” che è la descrizione che si avvicina di più alla realtà del prodotto fisico. Alla fine, la soluzione l’abbiamo trovata ma è stata frutto di un compromesso interno. 

Effettivamente il food manager locale deve anche tener conto della denominazione più comunemente utilizzata e riconosciuta dalle persone che materialmente vanno al supermercato, anche a discapito dell’aspetto fisico dell’ingrediente e a volte della stessa denominazione legale.

La traslitterazione degli ingredienti. Vince l’inglesismo, il francesismo, l’italianismo? Un po’ tutti. Anche qui dipende dal posto e anche dallo stesso food manager locale che potrebbe anche non essere oriundo del paese in cui lavora. Molti egiziani lavorano in Arabia Saudita ma preferiscono una traslitterazione a loro familiare. Hanno anche ragione perché, tutto sommato, anche i locali si sono abituati alla traslitterazione del food manager, perché i distributori magari sono sempre stati egiziani. Così anche per le unità di misura, i cui simboli ufficiali vengono praticamente ignorati.

Gli ingredienti cambiano, anche molto spesso. Gli allergeni cambiano, a seconda delle norme locali: a volte vengono esplicitati (mi è capitato di dover chiedere conferma sulla denominazione del kamut) a volte no (“contiene glutine”). Mi è capitato di dover specificare “latte vaccino”, la denominazione “latte” non era sufficiente, così come gli oli vegetali: sebbene l’olio di cocco sia di per sé vegetale, la parola “vegetale” doveva essere esplicitata, anche a garanzia della conformità Halal del prodotto.

Insomma, ogni volta che compare un ingrediente nuovo nella gamma di un prodotto, so già che devo:

-         fare una ricerca nelle denominazioni legali

-         fare una ricerca in altri prodotti simili e vedere come hanno fatto gli altri

-         fare una proposta o due

-         aspettare la controproposta

-         cercare un compromesso

È un processo a volte snervante perché può durare settimane, ma può essere anche interessante. Si studia, nostro malgrado, come sempre. Sembra banale, ma la stima nei confronti del cliente che ci affida la traduzione e il mantenimento del rapporto col food manager locale è di enorme aiuto. 

Conosco il prodotto, mi piace, so che è di altissima qualità e se viene apprezzato anche nel mercato arabo sono contenta. Se quello stesso produttore ripone fiducia in me, rendendomi parte di questo processo, la soddisfazione è ancora più grande.

#food #traduzione #export #madeinitaly